Alla dichiarazione di guerra all'Austria - Ungheria (23 maggio 1915), Benito Mussolini invia istanza di arruolamento volontario, che - come nella maggioranza dei casi - viene respinta dagli uffici di leva. Viene finalmente chiamato come coscritto il 31 agosto 1915, ed è assegnato come soldato semplice al 12° bersaglieri poi al 7° e il 2 settembre parte per il fronte con l'11° Reggimento Bersaglieri. Tiene un diario di guerra, pubblicato man mano sul Popolo d'Italia, nel quale racconta della vita in trincea e prefigura se stesso come eroe carismatico di una comunità nazionale, guerresca, socialmente gerarchica e obbediente.
Il 1° Marzo del 1916 è promosso Caporale per meriti di guerra. Nel suo fascicolo militare si legge, tra l'altro, «Attività esemplare, qualità battagliere, serenità di mente, incuranza ai disagi, zelo, regolarità nell'adempimento dei suoi doveri, primo in ogni impresa di lavoro e ardimento».
Il 1° Marzo del 1916 è promosso Caporale per meriti di guerra. Nel suo fascicolo militare si legge, tra l'altro, «Attività esemplare, qualità battagliere, serenità di mente, incuranza ai disagi, zelo, regolarità nell'adempimento dei suoi doveri, primo in ogni impresa di lavoro e ardimento».
Il 31 agosto successivo è caporal maggiore.
Il 23 febbraio del 1917 è ferito gravemente dallo scoppio di un lanciabombe durante un'esercitazione sul Carso. Durante la convalescenza viene visitato nel sanatorio da Vittorio Emanuele III. In questo periodo fece circolare due leggende: che aveva rifiutato l'anestetico mentre gli estraevano le schegge dal corpo e che gli austriaci, considerandolo il nemico più potente, bombardarono l'ospedale in cui si trovava allo scopo di ucciderlo. Dopo la prima convalescenza in ospedale militare viene inviato in licenza nelle retrovie per 18 mesi, poi viene congedato illimitatamente nel 1919.
Tornato alla direzione de Il Popolo d'Italia, ne modifica il sottotitolo da "Quotidiano socialista" in "Quotidiano dei combattenti e dei produttori", indicando chiaramente la strada da intraprendere.
In dicembre pubblica sul suo giornale l'articolo Trincerocrazia, in cui rivendica per i reduci dalle trincee il diritto di governare l'Italia post-bellica e prefigura i combattenti della Grande Guerra come l'aristocrazia di domani e il nucleo centrale di una nuova classe dirigente.
Il 23 febbraio del 1917 è ferito gravemente dallo scoppio di un lanciabombe durante un'esercitazione sul Carso. Durante la convalescenza viene visitato nel sanatorio da Vittorio Emanuele III. In questo periodo fece circolare due leggende: che aveva rifiutato l'anestetico mentre gli estraevano le schegge dal corpo e che gli austriaci, considerandolo il nemico più potente, bombardarono l'ospedale in cui si trovava allo scopo di ucciderlo. Dopo la prima convalescenza in ospedale militare viene inviato in licenza nelle retrovie per 18 mesi, poi viene congedato illimitatamente nel 1919.
Tornato alla direzione de Il Popolo d'Italia, ne modifica il sottotitolo da "Quotidiano socialista" in "Quotidiano dei combattenti e dei produttori", indicando chiaramente la strada da intraprendere.
In dicembre pubblica sul suo giornale l'articolo Trincerocrazia, in cui rivendica per i reduci dalle trincee il diritto di governare l'Italia post-bellica e prefigura i combattenti della Grande Guerra come l'aristocrazia di domani e il nucleo centrale di una nuova classe dirigente.
Nessun commento:
Posta un commento