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Arma dei Carabinieri - Comunicati

sabato 16 agosto 2008

Rodolfo Graziani - Gerarca Fascista (Filettino,1882 - Roma,1955)


Militare di carriera, raggiunse l'alto grado di Maresciallo d'Italia, ma si distinse più per le sue guerre di repressione, costate migliaia e migliaia di morti, che per le sue doti di stratega nelle campagne di difesa dell'Etiopia e della Libia nella seconda guerra mondiale. Figlio di un medico condotto, venne destinato dapprima al seminario, ma preferì fortemente il mestiere delle armi senza poter frequentare l'Accademia di Modena, ma effettuando il normale servizio di leva come allievo ufficiale nel 94° reggimento fanteria di Roma dal quale uscì sottotenente il 1° maggio 1904 e destinato a Viterbo, per passare due anni dopo al 1° Reggimento Granatieri di Roma.
Il suo primo contatto con il mondo africano, che si rinnoverà poi più volte, avvenne nel 1908, destinato a un presidio in Eritrea dove, oltretutto, imparò lingue locali che si riveleranno molto utili in fasi successive della sua carriera. Partecipò con il grado di capitano alla guerra italo-turca e si mise in luce nel conflitto mondiale 1915-1918 durante la quale fu ferito ed ebbe decorazioni. Alla cessazione delle ostilità venne promosso colonnello e a 36 anni risultò il più giovane ufficiale con quel grado.
Dopo uno sfortunato intermezzo di imprese commerciali con prodotti orientali, che durò in tutto un anno, ritornò al mestiere delle armi e, inviato in Libia, inizia quella attività di repressione brutale e sanguinosa contro le etnie locali con deportazioni di massa in campi di concentramento in forme che anticipano avvenimenti della seconda guerra mondiale.
Quando nel 1921 viene inviato in Libia, in effetti la colonia è quasi totalmente sfuggita al controllo italiano. Soprattutto in Cirenaica è presente un forte movimento che reclama l'indipendenza della Libia. A guidarlo è il "leone del deserto", Omar el Muchtar. È uno sforzo militare straordinario quello che serve per la riconquista della Libia e per combattere la ribellione delle popolazioni locali, ma Mussolini frattanto al potere - sognando già uno sforzo militare straordinario quello che serve per la riconquista della Libia e per combattere la ribellione delle popolazioni locali,
Per isolare il movimento combattente si usano tutti i mezzi e soprattutto Graziani ricorre ai sistemi più brutali contro le varie tribù organizzando grandi trasferimenti coatti di popolazione ristretta poi in campi sorvegliati e senza risorse, abbattendo tutto il bestiame, riducendo alla fame donne, uomini, vecchi e bambini senza pietà. Il numero delle vittime è enorme perché le offensive di Graziani si spingono anche molto all'interno, in pieno deserto, pur di fare terra bruciata intorno all'esercito di Omar el Muchtar. Il quale venne catturato l'11 settembre 1931 durante un trasferimento di suoi reparti, e fucilato davanti ad un folla di ventimila deportati, dopo un processo di cui si possono immaginare le garanzie. Basterà ricordare che il capitano dell'esercito italiano Roberto Lontano venne fatto fucilare per essersi impegnato troppo a fondo nella difesa di el Muchtar.
Vale la pena di leggere l'ordine del giorno tronfio e retorico con cui Graziani annunciava la cattura del capo ribelle:
"Omar el Muchtar, il capo politico e militare dei ribelli, è caduto nella rete che da diciassette mesi sul Gebel cinquanta volte si era aperta e chiusa per afferrarlo: c'è caduto alfine! E non è fortuita circostanza: è la tenacia, la fede, il valore, lo spirito di sacrificio dei comandanti e delle truppe che hanno trionfato! È il metodo che si è venuto affinando in tutti gli atti dell'operazione bellica, dall'esplorazione aerea a quella terrestre, dal concetto di manovra all'esecuzione nel campo tattico! È lo strumento che è stato lubrificato in tutte le sue articolazioni! È l'armonica azione dell'aviazione, dei battaglioni, degli squadroni! Ufficiali, soldati, siamo a una svolta decisiva! Siamo alla frusta! Avanti, per la grandezza d'Italia!". Una marea di punti esclamativi per una menzogna che, a ulteriore disonore di un generale, quasi ottant'anni dopo i fatti viene smentita da documenti inoppugnabili: non si trattò dell'intuizione di uno stratega, ma di una pura e semplice delazione che mise i militari in grado di catturare el Muchtar. Una cattura dopo una vera guerra che portò, al limite del genocidio, alla deportazione di almeno 80.000 libici in campi di concentramento. Da quel momento, Graziani è diventato il generale fascista per eccellenza. Forse fu in quell'occasione che, per riconoscenza, disse: "Io mi sono sentito fascista dalla nascita"?
Quando nel 1935 Mussolini, per coronare il suo assurdo sogno imperiale, aggredisce l'Etiopia, e sarà l'ultima guerra coloniale della storia, Graziani viene nominato governatore della Somalia ed assume il comando del fronte meridionale mentre, dopo un breve periodo di comando assegnato all'ex quadrunviro Emilio De Bono, al Maresciallo Pietro Badoglio si affida la direzione delle operazioni al Nord. Graziani, nonostante tutto, si sente subalterno e questo non farà che aumentare la sua rivalità, mai sopita anzi accentuatasi col tempo, nei confronti di Badoglio, anche perché sarà quest'ultimo ad occupare la capitale Addis Abeba.
In questa campagna etiopica Graziani tornerà a dimostrare tutta la brutalità del suo concetto di guerra usando sistematicamente e indiscriminatamente i gas, non senza le pressanti sollecitazioni di Mussolini. Per lui, nominato Maresciallo d'Italia, tuttavia non finisce l'avventura coloniale. Dopo la rinuncia di Badoglio all'incarico di viceré d'Etiopia, Graziani ebbe la nomina all'alta carica, ma ancora una volta in seconda battuta rispetto al suo nemico Badoglio.
Fu uno dei periodi più tragici e sanguinosi per il popolo etiopico.
Dopo un fallito attentato nei suoi confronti, Graziani fu responsabile di una persecuzione spietata, della distruzione di interi quartieri di Addis Abeba, dell'uccisione indiscriminata di migliaia di etiopici e del massacro della comunità copta vescovo compreso - di Debra Libanos, a un centinaio di chilometri dalla capitale. Alla fine della guerra, l'imperatore d'Etiopia, Hailé Selassié chiese che Graziani fosse inserito nella lista dei criminali di guerra e la United Nations War Crime Commission lo collocò al primo posto nella lista dei criminali di guerra italiani. D'altra parte, l'Etiopia è copta – vescovo compreso - di Debra Libanos, ante litteram delle teorie razziste non ancora legiferate, ma messe in atto empiricamente. Lo dice esplicitamente il segretario del partito fascista, Achille Starace, il 25 luglio 1938, ancor prima della pubblicazione ufficiale del decalogo razzista. "Con la creazione dell'Impero la razza italiana è venuta in contatto con altre razze: deve quindi guardarsi da ogni ibridismo e contaminazione. Leggi razziste in tal senso sono state elaborate e applicate con fascistica energia nel territori dell'Impero".
Rimpatriato alla fine del 1937 ebbe la nomina a capo di stato maggiore dell'esercito e nel 1940 destinato di nuovo allo scacchiere africano e al comando delle truppe in Africa settentrionale con l'Italia ormai in guerra. Qui, su questo fronte, nelle battaglie contro gli inglesi dimostrò di non essere quel generale mitico dipinto dalla propaganda fascista, anche se le responsabilità della sconfitta davanti alle truppe inglesi, certo più forti per numero, non furono certo soltanto sue. Fu comunque esonerato dal servizio e lasciato senza incarichi e, anzi, nei suoi confronti vennero lanciate accuse circa la direzione delle operazioni nel Nord Africa e sottoposto a inchieste.
Di lui, pubblicamente, si riparla soltanto quando, dopo la ricomparsa del fascismo e di Mussolini, l'8 settembre 1943, nasce la Repubblica sociale italiana e di quella larva di governo diventa ministro della Difesa nazionale. Le cronache dicono ch'egli fosse dubbioso di accettare l'incarico, ma amichevolmente pressato dall'ambasciatore tedesco Rudolf Rahn, abbandonò tutte le esitazioni e si diede focosamente a organizzare il nuovo esercito che avrebbe voluto utopisticamente "apolitico". In realtà, nonostante tutti i truculenti bandi che comminavano la pena di morte a chi, in età di servizio militare, non si fosse ripresentato alle armi, tutti i suoi tentativi di costituire le "nuove" forze armate furono un clamoroso fallimento. Non dovuto soltanto alla Resistenza, ma anche alle pervicaci rivalità interne al governo, degli scontri continui con gli altri gerarchi che non volevano rinunciare in nessun caso alle proprie polizie, ma anche perché quello spettro chiamato esercito venne usato, quando venne usato, solo per compiti di polizia o di rastrellamento contro le formazioni partigiane.
Il 2 agosto 1944 Graziani e le sue formazioni vennero messe agli ordini dei tedeschi sotto il comando del generale Albert Kesselring che comandava il fronte italiano.
All'avvicinarsi della fallimentare prova del fascismo repubblicano, quando Mussolini tentò di trattare la resa con la mediazione del cardinale di Milano Ildefonso Schuster, anche Graziani partecipò agli incontri per poi, in quei giorni convulsi, abbandonare Mussolini e il suo gruppo e cercare scampo da solo. Si arrese a un ufficiale del IV Corpo d'Armata americano che dopo qualche settimana di arresti a Roma lo spedì in Algeria; poi, dal 6 febbraio 1946, fu rinchiuso nel carcere di Procida. In quei circa due anni che precedettero il suo processo riuscì a scrivere tre libri per tentare di giustificare tutto il suo passato. Agli inizi del giugno 1948 si aprì finalmente il processo e la condanna fu a 19 anni di reclusione, ma tra amnistie, cavilli e condoni 17 anni gli vennero cancellati. Il tribunale argomentò che Graziani non era stato in grado, nonostante i bandi, le fucilazioni e i rastrellamenti, di incidere sulle decisioni del governo di Mussolini. Ma egli non si smentì, aderì al Movimento sociale italiano di cui divenne presidente onorario lasciandolo non senza virulente accuse e polemiche reciproche.
Si ritirò nella sua proprietà di Affile per poi trasferirsi a Roma per morirvi.

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